antradienis, rugpjūčio 20, 2019

La teoria di 'sto cazzo

Quando ero piccola volevo essere un uomo. E non ho mancato di enunciarlo più volte ai pranzi di famiglia, scatenando - a ripensarci ora - chissà quale terrore. Perché negli anni '80, in Veneto, dichiararsi diversi non poteva che scatenare il terrore.

Uno dei fratelli di mia mamma mi ha chiamata zitella per almeno vent'anni.
[Mia nonna e sua sorella mi chiamavano xigagna, zingara, senza accezioni che alludessero ad un arricchimento culturale.]

Quando ero piccola, mia nonna cucinava come un'ossessa (e benissimo), la mamma e le zie sparecchiavano e lavavano i piatti, mio nonno, mio padre e i miei zii parlavano di montagna e di politica.

Questa era la famiglia di mia madre. Nell'altra erano tutti così infelici nei loro ruoli che sarebbe stato insensato voler somigliare a chiunque.
La cugina grande, che in quel contesto era (era) un faro nella notte, mi rivelò un dì che la nonna le aveva detto che era meglio provarne un po', di uomini, prima di scegliere quello con cui accasarsi.
Detto da una che ha celebrato i cinquant'anni di matrimonio e che si è liberata dal giogo solo con la morte del coniuge e alle porte dell'Alzheimer, beh, è un consiglio che dà interessanti indizi su quella che era la sua (in)felicità.
Gli uomini che ho avuto hanno sempre lavato i piatti. Quando avevo 17 anni, una mia compagna di classe - che non era riuscita ad accaparrarsi il ragazzo con cui uscivo e non se ne capacitava - sostenne che lavare i piatti debilitava la mascolinità.
Le ho pisciato sul costume da bagno, che non riusciva a tirare su da terra da sola - forse in attesa che lo facesse l'anziana donna di famiglia. Un'azione molto maschia, a ripensarci.
La vita di quella che una volta si chiamava zitella mi appare a volte come un miraggio, come la promessa di una felicità mancata. Una vita senza la costante preoccupazione per la prole, una vita in cui l'energia non debba essere consumata a dimostrare di aver ragione nelle piccole cose che non cambiano il corso della storia, una vita senza dover lottare contro gli stereotipi di genere dall'interno di un matrimonio eterosessuale e - per quanto ne so io - monogamo [ma quanta energia ci vorrebbe per non essere monogami? Stima].
Non voglio più essere un uomo. Non ho mai voluto essere un uomo. Volevo (voglio) solamente l'emancipazione dalla sfera domestica e una vita interessante.
Non ho avuto modelli femminili particolarmente positivi - ehi, Veneto anni '80, chi li ha avuti? Non mi rimaneva che Gianna Nannini. Che, come musicista, manco mi piaceva.
Spero di essere un modello femminile interessante. Spero che i miei figli lavino i piatti. Spero che l'emancipazione dei/delle loro compagni/e non passi attraverso il lavoro in nero di una donna delle pulizie dell'est, o Brasiliana, o qualunque donna delle pulizie.
Perché prendersi cura dell'ambiente in cui si vive non dovrebbe essere spiacevole come un crampo al piede in piscina. Spero che le bambine non dicano più che vogliono essere degli uomini, non sulla base delle differenze di ruolo.
Spoiler - controversia in arrivo
I tre uomini di casa guardano un programma tipo Prova del cuoco con artisti che lavorano il vetro.
Sul tema "futuro", un'artista ha creato un utero che possa servire agli uomini per portare in grembo dei feti e liberare la donna del peso della procreazione.
Se gli uomini procreassero, non si discuterebbe la condivisione del procreare. Il procreare sarebbe sacro, il congedo parentale strapagato e la capacità di prendersi cura di altri esseri viventi sarebbe la qualità più nobile e più ricercata in un dipendente.
Invece a procreare sono le donne ed è quasi un'infermità. Qualcosa da cui ci si può liberare solo condividendo, non lottando per riconoscerne l'importanza.
Questo sul piano della donna.
Sul piano dell'umanità tutta: raddoppiare la possibilità di procreare per raddoppiare la percentuale di genitori incapaci che mettono al mondo figli da trascurare e che crescendo diventano del tutto imbecilli. Ottima idea. E, soprattutto, il patrimonio genetico comune come unica garanzia di poter creare un legame con un figlio. Un concetto del tutto maschile. Si può amare solo ciò che ci somiglia.
Adesso smetto perché sono le 6:00 e sono sveglia da due ore e non mi ricordo più perché ho cominciato a pensare alla teoria del gender.
Probabilmente perché il mio marito eterosessuale ha minato l'autorità della mia mappa cartacea con un'app su smartphone che non è minimamente comparabile - per affidabilità - alla sua antenata.
Probabilmente perché urlare è spesso l'unico modo per farsi ascoltare ma vorrei che la vita mi avesse insegnato che non è così.
Perché se sei donna e alzi la voce non stai facendo valere le tue ragioni, ma sei isterica. Perché se sei un uomo e sbagli, errare è umano. Se sei una donna e sbagli, bisognava aspettarselo. Perché sei donna e tuo marito ti fa mansplaning sulla teoria del gender.
Perché devo sprecare troppe energie per dimostrare di aver ragione in questioni che non cambiano il corso della storia.
Perché preferirei essere amata di meno ma che i miei figli venissero primi anche per il genitore con cromosoma Y.
Perché tra una settimana la vacanza è finita e devo tornare a vivere in una città che non ho scelto, immersa in una cultura di cui l'unica cosa che apprezzo è l'ipocrisia del tentativo di dimostrarsi emancipati sulla teoria del gender e sull'integrazione razziale. Ma è impossibile dimenticare che, per quanto meglio dei bifolchi omofobi e razzisti che governano l'Italia, si teatta pur sempre di ipocrisia.
Ma tutto questo c'entra poco.
Mi chiedo quanto si possa essere infelici per non supportare la felicità degli altri. Molto, credo.

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